Come abbiamo potuto apprendere in questi giorni, con il Decreto Legge n. 19 in vigore dal 25 marzo u.s., il Consiglio dei Ministri ha introdotto nuove misure per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19.
La decisione di prolungare le misure restrittive, già emanate con precedente decreto legge, deriva senz’altro dalla necessità di contenere la diffusione del virus sul territorio italiano, anche alla luce dei dati che sembrano iniziare a dare riscontro positivo ai sacrifici imposti nelle ultime settimane.
Innanzitutto, Il decreto elenca una serie di restrizioni e di regole, accorpando le disposizioni precedentemente adottate con i diversi Dpcm, ovvero dallo stop agli spostamenti alla possibile chiusura di strade e parchi.
Tra queste misure, vengono indicate:
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la limitazione della circolazione delle persone, il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione per i soggetti in quarantena perché contagiati e la quarantena precauzionale per le persone che hanno avuto contatti stretti con soggetti contagiati.
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la limitazione, la sospensione o il divieto di svolgere attività ludiche, ricreative, sportive e motorie all’aperto o in luoghi aperti al pubblico.
A garanzia del rispetto delle misure di distanziamento sociale, il Decreto n. 19/2020 inasprisce il sistema sanzionatorio, disciplinato dall’art. 4.
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Cosa prevede l’art. 4 in caso di inosservanza delle disposizioni?
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Il mancato rispetto delle misure di contenimento è punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 400 ad € 3.000 e NON si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 c.p. o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità. Se il mancato rispetto delle misure restrittive avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo.
Ciò significa che, a partire dal 25 marzo 2020, chiunque venga fermato dalle Forze dell’Ordine fuori della propria abitazione per futili motivi ovvero senza un valido motivo che non sia quello dei comprovati motivi di lavoro, di assoluta urgenza per trasferimento in Comune diverso, situazioni di necessità o motivi di salute rischia NON più una denuncia penale per violazione dell’articolo 650 c.p. – “Inosservanza di provvedimento dell’Autorità” – come previsto nel precedente DPCM del 22 marzo 2020 – bensì una sanzione amministrativa da € 400 fino ad € 3.000, che potrà essere aumentata fino ad un terzo, ovvero fino ad € 4000, se il fatto è commesso alla guida di un veicolo o in caso di recidiva.
Detto ciò, necessariamente dobbiamo precisare che l’entità della sanzione amministrativa sarà stabilita dal Prefetto e nel frattempo si avrà la facoltà di presentare scritti difensivi entro 30 giorni dall’inizio del procedimento.
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In caso di sanzione amministrativa quali sono le conseguenze?
Come sopra esposto, la competenza in materia spetta al Prefetto del luogo ove è stata commessa la violazione; se questi ritiene che non vi siano i presupposti per contestare la violazione, procederà ad archiviare il procedimento; nel caso, invece, che il Prefetto ritenga che sussistano i presupposti della contestazione, provvederà ad emettere nei confronti del trasgressore un’ordinanza di ingiunzione, che verrà notificata al destinatario nella quale specificherà l’importo che andrà pagato nel termine di 60 giorni.
Contro tale provvedimento è ammesso ricorso alternativamente al Prefetto o al Giudice di Pace, come avviene per le normali contravvenzioni al codice della strada, entro 30 giorni dall’avvenuta notifica.
In caso di mancato pagamento della sanzione amministrativa nei termini previsti e di mancata impugnazione del provvedimento nei termini di legge, il Prefetto provvederà ad iscrivere a ruolo per il recupero coattivo della somma, ovviamente maggiorata di interessi e spese di riscossione.
Si rileva, altresì, che se la violazione alle suddette norme è compiuta con un veicolo, la sanzione amministrativa sarà aumentata fino ad un terzo, ovvero fino ad € 4.000, ma in tal caso responsabile in solido per il pagamento della sanzione sarà anche il proprietario del veicolo se è persona diversa dal conducente, a meno che non provi che la circolazione sia avvenuta contro la sua volontà, ad esempio esponendo che il veicolo gli è stato rubato.
Il nuovo Decreto, però, NON ha introdotto sanzioni accessorie, anche se erano stati previsti inizialmente nell’originario testo di legge, come il sequestro e la confisca dei veicoli e dei motocicli per mezzo dei quali erano state commesse le violazioni alle misure restrittive.
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Cosa accade per i pubblici esercizi, attività produttive o commerciali?
Nei casi di mancato rispetto delle misure previste per pubblici esercizi o attività produttive o commerciali, si applica la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni. La sanzione si applica in particolare per le attività previste dall’articolo 1, comma 2, lettere i), m), p), u), v), z) e aa).
Nel caso di reiterata violazione della medesima disposizione, la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima.
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Cosa accade per coloro che sono già stati denunciati per la violazione dell’art. 650 c.p.?
I dati emanati dalle Forze Pubbliche, hanno confermato che i soggetti denunciati per essere usciti di casa nonostante i divieti per violazione dell’articolo 650 c.p. per “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità” sono stati circa 110.000 cittadini.
Ciò premesso, si rileva che nel decreto le disposizioni ivi contenute sostituiscono le sanzioni penali con sanzioni amministrative, le quali si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
In sostanza, il nuovo decreto ha “depenalizzato di fatto” tutte le violazioni commesse ai sensi dell’art. 650 c.p. che fino a ieri costituivano reato, essendo stato previsto che le sanzioni amministrative introdotte vanno a sostituire quelle contravvenzionali previste dall’art. 650 c.p. che prevede, si rammenta, l’applicazione dell’ammenda di € 206 o l’arresto fino a 3 mesi.
Dette sanzioni amministrative, pertanto, opereranno retroattivamente, facendo venire meno gli effetti delle denunce e le conseguenze penali – quindi l’annotazione nel casellario giudiziale in caso di condanna – ma resteranno esclusivamente le sanzioni amministrative. Questo, sempre che il procedimento penale scaturito a seguito della denuncia per il reato di cui al 650 c.p. non sia stato definito con sentenza o con decreto penale divenuti irrevocabili, ma in tali casi le sanzioni sono applicate nella misura minima.
La emanazione sequenziale e ravvicinata nel tempo di tutti questi DPCM e Decreti Legge, ha creato confusione e non è ben chiaro – all’interprete giurista, come al comune cittadino – quale sanzione possa essere applicata, specie nel caso in cui una persona disattenda le prescrizioni imposte dall’autorità in materia di libertà di movimento ed esca dalla propria abitazione per motivi che non siano di salute, necessità o di lavoro.
Cerchiamo allora di fare chiarezza circa la successione delle norme nel tempo in materia penale, specie alla luce del Decreto-legge 25 Marzo 2020.
Occorre, comunque, brevemente esplicitare che gli interpreti si sono orientati nel ritenere sussumibile nell’ambito di un reato contravvenzionale – e cioè l’articolo 650 Codice Penale, rubricato “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità” – la condotta di colui che non osserva il provvedimento emanato dall’Autorità, prescindendo dal fatto che tale provvedimento abbia forza di legge – come hanno i decreti legge – o di mero atto amministrativo – quali sono i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. In tal senso, tale reato è fatto proprio espressamente dall’articolo 3, comma 4, del Decreto-Legge 23 febbraio 2020, n. 6, e dall’articolo 4, comma 2, del DPCM 8 marzo 2020.
Tale contravvenzione, però, all’occhio di molti giuristi – e di molte Procure della Repubblica – che ben conoscono la realtà pratica del processo penale, è parsa inadeguata rispetto al contesto, per una pluralità di ragioni. Perciò, alcuni uffici giudiziari hanno proposto interpretazioni alternative: è il caso della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, che ha proposto l’articolo 260 del Testo unico delle leggi sanitarie (TULS), che punisce chi non osserva un ordine “legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva” ma, anche tale interpretazione presenta delle problematiche, giacché l’articolo 260 TULS è norma risalente al legislatore del ventennio, e in molti la tacciano di dubbia costituzionalità.
Oltre a ciò, il legislatore ha, fino all’entrata in vigore del Decreto-legge 25 marzo 2020 n. 19, come si è visto, previsto espressamente l’applicazione dell’articolo 650 Codice Penale, e non di altri reati. Da ultimo, tale reato sembra più facilmente applicabile alle fattispecie di inottemperanza del periodo di quarantena legalmente imposto, come ha previsto infine il Decreto-legge 25 marzo 2020, prevedendo che si applichi per le violazioni del “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus”.
A queste problematiche giuridiche, sollecitato da piu´ parti,, l’Esecutivo ha risposto con il citato Decreto-legge 25 Marzo 2020, con la previsione secondo cui il mancato rispetto delle misure di contenimento, limitanti la libertà di movimento, sia punibile con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 400 a 3.000 euro, salvo che il fatto non costituisca reato. Appare chiaro, quindi, che il legislatore abbia approntato una depenalizzazione del reato, con contestuale introduzione di un illecito amministrativo, operando perciò una successione mediata di leggi penali.
A questo punto, l’interrogativo principale che ci si pone è se tale vicenda successoria possa essere inquadrata nell’ambito dell’articolo 2 Codice Penale, comma II, che sancisce il principio di retroattività della norma penale abolitrice dell’incriminazione, applicando la norma abolitrice più favorevole, oppure nelle fattispecie di cui all’articolo 2, comma V, Codice Penale e articolo 14 Disp. Preliminari al Codice Civile (c.d. “Preleggi”), che disciplinano l’applicazione delle leggi eccezionali e temporanee.
Dapprima, si potrebbe sostenere che la legislazione creata per contrastare la diffusione del coronavirus sia composta di norme penali eccezionali e temporanee.
L’articolo 2, comma 5, Codice Penale, statuisce che “se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti”, introducendo così un regime derogatorio per le leggi eccezionali e temporanee, che saranno sostenute dal principio del tempus regit actum.
Secondo l’articolo 14 delle Preleggi, rubricato Applicazione delle leggi penali ed eccezionali”, «le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati». Ma cosa si intende per legge eccezionale e/o temporanea? Il carattere di temporaneità è chiarito dalla relazione ai “Lavori preparatori del Codice penale”, secondo cui si definiscono leggi temporanee, ex articolo 2, comma V, «quelle che hanno vigore entro un limite di tempo da esse stesse determinato» (cfr. vol. V, parte I, p. 24), mentre l’eccezionalità è dovuta ad un ambito di operatività temporale in cui insiste uno stato di fatto caratterizzato da accadimenti fuori dal comune, come potrebbe ben essere un’epidemia.
Ma ci sono vari motivi per ritenere che la normativa in tema di coronavirus non abbia questi requisiti. Prima dii tutto, il successivo comma VI dell’articolo 2 Codice Penale prevede che anche alle norme penali introdotte con decreto legge si applichi la disciplina di cui all’articolo 2, comma II, Codice Penale. In secondo luogo, è evidente come il Decreto-legge 23 febbraio 2020 non abbia introdotto la fattispecie di cui all’articolo 650 Codice Penale, ma ne abbia solo richiamato l’applicazione. L’articolo 650 Codice Penale era previgente rispetto all’epidemia, e presumibilmente esisterà successivamente ad essa. Addirittura, avrebbe potuto essere applicato anche senza essere stato richiamato espressamente, in quanto norma penale “in bianco”. È chiaro, quindi, che il Decreto-legge citato non abbia introdotto alcuna norma penale eccezionale e temporanea. Pertanto, la depenalizzazione dell’inottemperanza al provvedimento dell’Autorità in materia di contenimento della libertà di movimento dovuto all’emergenza epidemiologica è un fenomeno da inquadrarsi nell’ambito della c.d. successione mediata della legge nel tempo. Con questa dicitura, si intende quel fenomeno per cui a mutare non sono le disposizioni incriminatrici, bensì disposizioni esterne ad esse e, al contempo, da queste richiamate a qualificare un elemento normativo della fattispecie.
Infatti, l’opinione maggioritaria è positiva circa l’applicazione dell’articolo 2 Codice Penale, comma II, per il caso in cui la norma successiva abolitrice preveda anche l’introduzione di un illecito amministrativo (cfr. Trib. Milano, sent. 1° marzo 2001), ma ci si è chiesto se il Giudice, in tale ipotesi, nel pronunciare sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, debba applicare la neo-introdotta sanzione amministrativa.
La risposta a tale quesito è data dalle Sezioni Unite della Cassazione che, con sentenza 28 giugno 2012, n. 25457, hanno affermato che l’Autorità giudiziaria che assolve l’imputato per sopravvenuta depenalizzazione del fatto non deve trasmettere gli atti all’autorità amministrativa per l’irrogazione della relativa sanzione, in assenza di disposizioni transitorie ad hoc nella legge di depenalizzazione. Difatti, vi sarebbe di ostacolo il principio di irretroattività dell’illecito amministrativo, come sancito dall’articolo 1 Legge 689/1981 (c.d. legge di depenalizzazione), e perciò non si potrebbe far retroagire l’operatività di una nuova sanzione amministrativa.
Rapportando tutto ciò alle norme emergenziali per contrastare il coronavirus, è evidente che il legislatore ha fatto tesoro di questa sentenza, poiché il Decreto-legge 25 marzo 2020 prevede, nel proprio testo, la necessaria disciplina transitoria laddove all’articolo 4, comma VIII, del Decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, statuisce che: «Le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507».
Le conseguenze sono facilmente prevedibili:
Il Giudice penale – perlopiù il Giudice per le indagini preliminari – alternativamente procederà alla archiviazione del procedimento o applicherà l’articolo 129 Codice Procedura Penale e pronuncerà sentenza di assoluzione perché rileverà che il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Nel dichiarare l’archiviazione o l’assoluzione, potrà trasmettere gli atti all’autorità amministrativa competente, cioè al Prefetto;
Appare di tutta evidenza che la leggerezza con cui l´esecutivo richiamava l´applicazione del 650 cp per le violazione degli obblighi e le limitazioni derivanti dalle norme emergenziali relative al covid-19 ha provocato l´attivazione di circa circa 100.000 procedimenti penali che cadranno nel nulla, tantissimo lavoro inutile da parte delle Procure e della polizia giudiziaria.
Situazione completamente diversa, invece, per i soggetti positivi al Covid-19 che violando la quarantena sono stati fermati dalle Forze dell’Ordine fuori dell’abitazione: in tal caso, restano gli effetti e le conseguenze penali della relativa denuncia per violazione dell’articolo 452, comma 1 e 2, c.p. punito con la pena della reclusione da 1 a 5 anni.
de´FRANCESCO & PARTNERS
Avv. Luciano BRUNOTTI Avv. Giandomenico de´FRANCESCO